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“La Storia” di Elsa Morante

La mia è una scommessa. Giuoco d’azzardo con la presunzione di vincere. D’altra parte non ho nulla da perdere. Facile capire l’azzardo, quando avrò confessato di aver letto solamente sessantacinque pagine di un libro di circa settecento e di pretendere di tracciare un “profilo esplicativo” del romanzo e di chi l’ha scritto. Su Elsa Morante non posso pormi la domanda di don Abbondio: “Carneade, chi era costui?”. Della scrittrice ho letto e sentito qualcosa, anche ultimamente, in occasione della visione dello sceneggiato di Comencini assieme ad alcuni amici dell’Uni3; più precisamente, assieme ad un amico e molte amiche.

Come l’anno passato, con un romanzo dell’ottocento, I Promessi Sposi, questa volta ne analizziamo uno del novecento, per l’appunto “La Storia” della Morante. L’idea di avvicinarci a due opere letterarie, una del secolo scorso e l’altra del precedente, utilizzando anche i loro sceneggiati televisivi, è stata di Marta che ci guida nel percorso. In conclusione del corso, si tratterà di mettere a confronto i due romanzi  e cercare di ricavare, per quanto possibile, dal punto di vista non esclusivamente letterario, analogie e differenze fra ottocento e novecento.

Qui e per ora, giochiamoci l’azzardo. Elsa Morante dunque e il suo “La Storia”. La prima impressione che ho avuto è che la scrittrice sia una che “sa le cose”. Chi possiede “la conoscenza”  non può essere ottimista e di ottimismo in E. M. non ce n’ è manco l’ombra. Sarebbe interessante capire perché chi ha trovato la “verità”, anziché vedere il mondo in rosa, percepisce solo buio e sconforto nell’universo mondo. Cerco subito di parare una obbiezione: anche il Manzoni aveva trovato la “verità” ma per lui rimaneva il “Mistero”. Per la Morante non c’è mistero, tutto è lì davanti, basta saper “vedere”.

La cosa che più mi ha impressionato è la descrizione dei personaggi di questo mondo di vinti anche quando si credono vincitori. I poveri dei Promessi Sposi, di colpi,  ne prendono dai potenti dai prepotenti e da chi li dovrebbe tutelare ma conservano tutta la loro dignità di uomini o, per dirla col Manzoni, di creature di Dio, a meno che non se la giochino in tutta libertà. L’umanità di E.M. non c’è bisogno che sia indigente per agitarsi in un vano affanno o deprimersi nell’angoscia di un castigo senza ragione, tutti verranno spazzati da una ramazza manovrata dal caso. Questo vedono coloro che sanno.

Quanti sono coloro che sanno? Pochi, pochissimi sono gli Eletti. Eletti da chi e perché, figuratevi, non lo sanno neanche loro e questo li rende tristissimi. È chiaro che non si tratti della conoscenza o “gnosis” del II°-III° secolo quando il “sapere” portava alla salvezza dell’anima e c’era di che essere soddisfatti. Nel frattempo Dio è morto e l’anima non ha più ragion d’essere. Secondo me, detto per inciso, Leopardi era gnostico che più di così non si può. Si tratta comunque di Spiriti Magni.

Per tornare a E.M. potrei citare, a sostegno di quanto vado dicendo, qualche passo  delle sole sessantacinque paginette che ho letto, a cominciare da quei capitoletti introduttivi che vanno dal 1900 al 1941, data di inizio della “Storia”, ma il mio è un gioco d’azzardo e non ha bisogno, per questo motivo, di pezze giustificative. Sono impressioni, sensazioni che vanno pelle pelle. Quando le pagine le avrò lette tutte, chi sa cosa potrò dire mai. Forse, anche prima di aver portato a termine la lettura, ritirerò la mia improntitudine e chiederò venia non a uno Spirito Magno ma a una ottima narratrice.

Quanto alle critiche, talvolta feroci, che dovette subire dalla sinistra, la sua parte, e l’oblio subito dopo decretato, nulla di più facile da spiegare:  nella seconda metà  degli anni settanta  il P.C.I. era all’apice della sua parabola politica e di altre sinistre che facessero ombra non ce ne erano. C’era si il P.S.I. ma  dall’altra parte della barricata, figurarsi. Il partito comunista affondava le sue radici nel popolo, non in qualche elite, gli unici intellettuali riconosciuti erano quelli organici. Come può un partito popolare non vedere le masse dei lavoratori in marcia verso un radioso futuro, verso il sole dell’avvenire?

Capirete che “La Storia” di Elsa Morante poco corroborava le promesse  di “ magnifiche sorti e progressive” fatte ai lavoratori e nonostante le seicentomila copie scese il silenzio. Come non ne avesse venduto neanche una. Chapeau, il P.C.I. era una cosa seria. Non era “Giustizia e Libertà” di Bobbio, Morante e pochi altri, di cui politicamente non è rimasta traccia.

Nella seconda metà degli anni ottanta le cose stavano ormai cambiando e lo sceneggiato di Comencini , d’altronde, ben poco aveva della grandiosa cupezza del romanzo.

Elio

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