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“il male di vivere”

“Il male di vivere”. Qualcuno, forse più propriamente, lo chiama “la fatica di vivere”. Qualcun altro, “la noia di vivere”. Da una poesia di otto versi, sei endecasillabi, un decasillabo e un doppio settenario, armoniosi e urticanti, non si può trarre la “filosofia” di un poeta. Non avesse scritto altro si potrebbe tentare, perché c’è molto altro da tenere presente, oltre la sua opera, nell’analizzare la poetica di un autore, o semplicemente esprimere su di lui un giudizio senza impegno.

Ecco, bisognerebbe conoscere l’Uomo, conoscere la fantastica traversata di spazi e tempi lunghissimi a cui si è dato il nome di Storia. Senza essere storici e pochissimo conoscendo del lungo peregrinare, una cosa l’azzardiamo: la traversata, fra il XVIII° e il XIX° secolo ha cominciato a farsi sempre più “faticosa”. Non è che prima fosse tutto rose e fiori, anzi, il male c’era ad ogni piè sospinto e continuamente lo si sperimentava. Non c’era però il male “esistenziale”: l’insopportabilità dell’esistere.

Rischiando di cadere nel banale e nel risaputo, ripetiamo un concetto noto: le civiltà, come l’uomo, nascono invecchiano e muoiono. La nostra, la cosiddetta civiltà occidentale, sta invecchiando male. Può sembrare paradossale il fatto che nel XVIII° e  per tutto il XIX° secolo la civiltà ha ottenuto risultati mirabolanti che avrebbero dovuto spianare le rughe dell’età avanzata, rendere più facile l’esistenza e non acuire “il male di vivere”. È che “ …il rivo che gorgoglia /…l’incartociarsi della foglia / riarsa, …il cavallo stramazzato.” Sono sempre lì, davanti agli occhi di tutti.

Visto che si è iniziato, di rischio ne possiamo assumere un altro: quello della supponenza. Entrando come  elefanti nel cristallo della seconda quartina, “non ho conosciuto il bene, se non eccezionalmente / quando viene forzata (aperta con forza) la divina Indifferenza: / allora eccola la statua nella sonnolenza / del meriggio, e la nuvola, e il falco alto levato.”, si potrebbe scorgere una richiesta di aiuto. L’Arte, manifestazione del divino nell’uomo, “la nuvola, il falco alto nel cielo”, la Natura, eccolo il “prodigio”.  Sarà “Indifferenza” a cui scappano i “prodigi”? o sarà necessario saperli cogliere anche “nella sonnolenza del meriggio” perché qualcosa, indifferente sì ma non tanto , li smarrisce ogni poco, quasi fosse a caso?

Elio

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